lunedì, dicembre 13, 2010

Dopo lo show di Wikileaks entriamo meglio nel dettaglio...

Piano energetico e la stretta relazione dell'Italia con i gasdotti russi!

di: Filippo Ghira
f.ghira@rinascita.eu

Articolo completo, scritto su Rinascita 
Fonte Link:
http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=5407
La vera questione sulla quale è destinato a cadere in nostro Governo, è l’energia e i rapporti tra Eni e Russia ??

... si giocano il futuro della politica e della economia italiane in quanto tali legami sono visti con aperto fastidio a Washington e Londra che temono più di ogni altra cosa la creazione di un asse europeo continentale all’interno del quale taluni Paesi europei (Germania e Italia, ma anche la Francia) offrirebbero tecnologia alla Russia in cambio di petrolio e di gas. Un asse che vede come partner privilegiati sia l’Italia che la Germania con l’ex Cancelliere socialdemocratico, Gerhard Schroeder che siede nel consiglio di amministrazione sia della russa Gazprom che della società che realizzerà il gasdotto sottomarino North Stream che attraversando il Mar Baltico porterà in Germania il metano russo.

Non per niente nelle rivelazioni di WikiLeaks sulle informative inviate dall’ambasciata Usa a Roma al Dipartimento di Stato si pone l’accento su questi rapporti tra Italia e Russia, tra Eni e Gazprom e quelli personali tra Berlusconi e Putin, e si insinua senza troppe perifrasi che il capo del governo abbia realizzato una fitta rete di interessi personali sulla base di questi legami preferenziali.

Appare quindi significativo che il poco gradimento di cui gode Berlusconi presso il maggiordomo di Wall Street (..) sia stato fatto emergere in concomitanza con la crisi di governo nel nostro Paese. Sono così tornati alla ribalta taluni aspetti che sommati insieme faranno pendere la bilancia laddove vogliono gli “atlantici”.

Oggi l’Eni, tra Tesoro e Cassa Depositi e Prestiti, è controllata al 30% dallo Stato.

Di conseguenza il governo italiano, grazie al meccanismo della “golden share” e alla apparente frammentazione del capitale azionario tra migliaia di piccoli risparmiatori, si è attribuito la facoltà, trattandosi di una azienda di interesse nazionale, di nominare i vertici dell’Eni (presidente ed amministratore delegato) e di indirizzarne di conseguenza le scelte strategiche.

Azioni raccolte, grazie alle privatizzazioni volute e avviate da Ciampi, Amato, Draghi, Prodi e D’Alema, che prevedevano tra l’altro una quota del 30% destinata espressamente al mercato finanziario internazionale nel collocamento di ognuna delle tranches del capitale Eni messo in vendita.

Non si sa infatti a quanto ammontino tali partecipazioni. Il libro soci non ci può dire molto perché un azionista fa sapere che esiste quando deposita le azioni presso una banca per partecipare alle assemblee che approvano il bilancio, modificano lo statuto e distribuiscono gli utili. Se si limita ad incassare i dividendi questo non succede. Tra gli azionisti Usa che sono usciti allo scoperto c’è il fondo di investimento Knight Winke (possiede l’1%) che da almeno due anni insiste con la richiesta rivolta all’Eni di scorporare dalla capogruppo la Snam che gestisce in Italia la rete di distribuzione del gas.

A chiunque abbia un minimo di comprendonio appare però chiaro che una simile decisione indebolirebbe di molto la forza dell’Eni, che è l’unica società del settore ad essere presente in tutte le fasi della filiera produttiva sia per il gas che per il petrolio. E soprattutto ne indebolirebbe la forza contrattuale sul mercato internazionale nel quale, come ai tempi di Enrico Mattei, funziona come secondo e più potente Ministero degli Esteri.

La crisi di governo ha ulteriormente aggravato in prospettiva tale situazione, visto che diversi dei candidati per il dopo Berlusconi, Casini in testa, si sono detti favorevoli a (s)vendere l’Eni per tamponare il debito pubblico.

I finiani, da parte loro, intenti come sono a crearsi referenze a Washington, Londra e Gerusalemme, sono stati più cauti ed hanno intimato a Berlusconi di fare “chiarezza” sui suoi rapporti non solo con Putin ma anche con Gheddafi.

Ultimo, ma non meno importante fronte di scontro, è quello rappresentato dalla realizzazione dei due gasdotti nati come alternativi ma che teoricamente potrebbero diventare complementari.

Il primo il Nabucco, voluto dagli Stati Uniti e dalla Commissione europea
(lungo 3.300 chilometri)
per trasportare il gas dell’Azerbaijan in Europa, attraverso Azerbaijan, Georgia, Turchia, Bulgaria, Romania, Ungheria e Austria fino al terminale di Baumgarten dove arrivano i gasdotti russi attraverso l’Ucraina.

L’altro, il South Stream
(2.400 chilometri)
che passerà sul fondo del Mar Nero portando il gas russo in Bulgaria e da lì biforcandosi verso l’Italia e verso Nord attraverso Serbia e Ungheria.

Un gasdotto nel cui azionariato sono presenti Gazprom ed Eni, ma anche i francesi di EdF e i tedeschi di RWe a dimostrazione che il South Stream è un vero gasdotto europeo e non il Nabucco che risponde alla logica di accerchiare la Russia e di sottoporre l’Europa ad un ricatto, questo sì ma voluto dagli Stati Uniti. All’interno del quale anche la liquidazione dell’Eni assumerebbe un suo preciso significato.

Immagini prese da: http://www.balcanicaucaso.org/aree/Russia/Wikileaks-duello-energetico-nel-Caucaso

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